La prima volta che sentii parlare degli elfi fu in Norvegia, era l’estate del 2019 e io ero capitato lì quasi per caso con l’idea di lavorare ad alcuni progetti di volontariato e, nel mentre, imparare qualcosa su quel Paese, le sue tradizioni e i suoi abitanti. Durante quel mio primo soggiorno avrei raccolto circa una decina di testimonianze sull’argomento “elfi”, tutte molto diverse tra loro e, talvolta, persino le une disaccordo con le altre: dove alcuni insistevano nel sottolineare la natura malevola di queste creature, altri ne dipingevano una versione decisamente diversa e, per certi versi, molto più vicina a quella oggi diffusa nell’immaginario collettivo. Quello non sarebbe stato l’unico viaggio durante il quale avrei ascoltato e raccolto storie relative agli elfi: quello stesso anno, pochi mesi dopo aver lasciato la Norvegia, sarei infatti partito alla volta delle Isole Faroe con l’analoga intenzione di imparare qualcosa sulla lingua e le tradizioni locali di quell’arcipelago a me tanto caro. Lì, grazie all’intercessione di alcuni amici musicisti avrei poi iniziato ad interessarmi alla musica e al vasto universo delle ballate popolari faroesi (ne ho parlato qui) tra cui la mia preferita, Ólafur Riddararós, la cui storia ruota proprio intorno all’avventura di un giovane cavaliere con una fanciulla-elfo, destinata a finire in tragedia. Solo una volta trasferitomi in Islanda avrei preso peró a dedicarmi, con relativa costanza, alla ricerca su questo argomento: avevo letto spesso sui vari blog che in Islanda il culto degli elfi era ancora particolarmente sentito, che la metà della popolazione credeva ancora in una qualche misura alla loro esistenza e che addirittura durante la costruzione di strade e infrastrutture gli islandesi prestasse una certa attenzione a non disturbare gli elfi che potevano vivere nei dintorni e volevo a tutti i costi verificare la veridicità di queste voci, le quali si sarebbero rivelate per la maggior parte infondate.
Solo una volta trasferitomi in Islanda iniziai a dedicarmi con (relativa) costanza alla ricerca su questo argomento: avevo letto spesso, sui vari blog, che in Islanda il culto degli elfi era ancora particolarmente sentito, che la metà della popolazione credeva all’esistenza degli elfi e che, addirittura, durante la costruzione di strade e di infrastrutture gli islandesi sembravano prestare attenzione all’eventuale presenza di elfi e spiriti di varia natura, e volevo a tutti i costi verificare le veridicità o meno di queste voci le quali si sarebbero poi dimostrate, nella maggior parte dei casi, infondate.
In realtà, e ci sarebbero voluti mesi per rendermene conto, quello relativo agli elfi e alla loro importanza nell’immaginario collettivo attuale è un argomento assai complesso e richiede una serie di premesse di ordine storico, geografico e culturale. Occorre infatti definire cosa sia un elfo, come questo concetto si sia sviluppato e diffuso, come questo sia cambiato nei secoli e come questo venga inteso ora.

Cenni storici, gli elfi nelle fonti medievali
Una delle prime difficoltà che si incontrano nello studio el fenomeno-elfi é di natura terminologica: la parola “álfur“, elfo, (pl. álfar) compare infatti in una serie di contesti differenti, in tipologie testuali molto diverse le une dalle altre e non sempre é possibile stabilire in maniera certa se questo si riferisca o meno sempre alla stessa tipologia di creature. Il termine compare per quella che sembra essere la prima volta in un testo poetico attribuito allo scaldo islandese Sighvatr Þórðarson (995-1047ca) composto a seguito di un faticoso viaggio in Svezia compiuto per volere di Re Ólaf Haraldsson nel 1019-1020: nella quinta stanza, il poeta descrive la fredda accoglienza ricevuta da parte di alcuni svedesi che lo avrebbero scacciato in malo modo perché intenti a celebrare un sacrificio per gli álfar.
Gakkat inn kvað ekkja, ‘armi drengr, en lengra. Hræðumk ek við Óðins, erum heiðnir vér, reiði. Rýgr kvazk inni eiga Óþekk, sús mér hnekði álfablót, sem ulfi, ótvín, í bæ sínum
“Non avvicinarti ulteriormente” disse la donna, “miserabile!” Temiamo la furia di Odino, siamo pagani. La vecchia strega mi scacciò via come un lupo e disse che stava celebrando un sacrifico agli elfi nella sua casa.
Difficile esprimersi sul significato e sull’attendibilità di questa descrizione dal momento che la fede, cristiana, del poeta potrebbe averne compromesso la neutralità: appare ad esempio improbabile l’utilizzo da parte della donna del termine heiðin, pagani, raramente usato al di fuori dell’ambiente cristiano, e anche il reale significato del termine “álfar” risulta poco chiaro. In ogni caso, questi elfi sarebbero qualcosa di ben diverso da quelli che popolano l’immaginario collettivo attuale e che faranno la loro comparsa solo qualche secolo più tardi. Quest’ultima affermazione trova una parziale conferma nella lettura di alcuni testi medievali islandesi, in tra cui Landnámabók e Ulfljótslög, dove sono menzionati altri tipi di creature tra cui i landvættir (spiriti naturali) e i bergbúar (coloro che abitano nelle rocce) senza che queste siano però mai accostati agli elfi, i quali, almeno in questa prima fase, dovevano essere intesi come qualcosa di completamente differente. Anche questa seconda tesi trova supporto in alcune fonti letterarie, in particolare nel materiale eddico, dove gli elfi figurano spesso al fianco delle due grandi famiglie degli déi norreni, gli Æsir e i Vanir e vengono talvolta identificati con questi ultimi.
Nel corso del tredicesimo secolo l’immagine degli elfi prende gradualmente a mutare e ad avvicinarsi a quella di altri spiriti naturali, risultando a tratti indistinguibile da quest’ultima. Se ne trova un esempio particolarmente interessante in un passaggio della Kormáks Saga (XIII secolo), dove a uno dei protagonisti viene spiegato per filo e per segno come svolgere un certo tipo di rituale, necessario per ottenere dagli elfi la guarigione di alcune ferite:
“C’è una collina poco distante da qui in cui risiedono gli elfi. Devi prendere il toro ucciso da Kormákur, spargerne il sangue sulla cima della collinetta e lasciare poi che loro banchettino con la carne, solo così potrai riprenderti”
È però solo in alcune Saghe più tarde, come la Saga di Grettir o la Saga di Bósi e Herrauðr, che gli álfar iniziano ad essere annoverati tra gli óvættir (spiriti maligni) al fianco di streghe e troll, per poi assumere, infine, quelle caratteristiche che avrebbero poi mantenuto nelle leggende popolari, come la capacità di spostarsi attraverso i muri, le tendenza a rapire bambini e a condurre verso la perdizione giovani fanciulle e fanciulli.
Gli elfi e le loro caratteristiche tra il XVI e il XVIII secolo
Anche ecclesiastici ed accademici islandesi e scandinavi si trovano a discutere in materia di elfi e l’argomento compare anche in alcuni importanti trattati, come la Historia de Gentibus Septentrionalibus di Olao Magno (ne ho parlato brevemente qui) e la Qualiscunque descriptio Islandiæ, una descrizione dell’Islanda composta scritta nel 1588 da Oddur Einarsson, vescovo islandese. L’immagine degli elfi che traspare da queste descrizioni non sempre essere troppo distante da quella che poi sarebbe pervenuta fino ai nostri giorni: nel suo testo, Oddur Einarsson sostiene che questi vivrebbero sotto terra e/o in certe colline e formazioni rocciose particolari e che tra tutte le tipologie di spiriti naturali sarebbero quella meno pericolosa. Secondo la quasi totalità di queste descrizioni gli elfi avrebbero proporzioni del tutto identiche a quelle degli esseri umani, anche se magri e dal fisico più slanciato (necessario per spostarsi in maniera agevole tra le fessure rocciose), sarebbero estremamente belli e capaci, all’occorrenza, di rendersi invisibili.
Sulla loro natura è invece più difficile esprimersi: associati spesso al rapimento di neonati e/o alla scomparsa di giovani ragazzi e fanciulle, hanno fama di essere particolarmente vendicativi. In relazione a quest’ultimo punto si potrebbe citare la storia di tale Sigurður Stefánsson, il quale dopo aver scritto un testo sugli elfi oggi perduto, sarebbe caduto e annegato in un fiume dopo una notte passata in compagnia di alcuni amici, cosa che sarebbe stata da alcuni interpretata come una vendetta da parte degli elfi nei suoi confronti. Nel 1637 é invece Gísli Oddsson, vescovo di Skálholt, a tornare sul tema con un’opera intitolata De merabilius Islandiæ. Nel testo vengono distinte due diverse famiglie di elfi, quella degli húldufólk (lett. il popolo nascosto) e i ljúflingur, questi ultimi generalmente benevoli e in grado di intrattenere relazioni positive con certi esseri umani. Una prima spiegazione circa l’origine degli elfi la si trova in uno scritto dell’accademico islandese Jón lærði Guðmundsson, il quale ipotizza che queste possano essere originate dal seme di Adamo, sparso per terra nelle ore che precedettero la creazione di Eva, cosa che spiegherebbe il loro legame con il terreno le rocce e il sottosuolo in generale. Secondo una versione alternativa di mito, gli elfi invece sarebbero figli di Adamo ed Eva, ma nascosti da quest’ultima alla vista di Dio per vergogna: una volta accortosene, questi avrebbe poi provveduto a renderli invisibili per sempre (Quelli che hai nascosto, saranno nascosti per sempre), mentre una menzione a parte meritano alcuni scritti del reverendo islandese Guðmundur Einarsson nei quali egli tenta di collegare la figura degli elfi a quella degli angeli caduti, tesi che non sembra però aver riscosso particolare successo.
Le caratteristiche associate agli elfi non sembrano cambiare in maniera rilevante nel corso del 18esimo e del 19esimo secolo. A fine ‘800, sul modello di quanto iniziato dai fratelli Grimm in Europa, i primi folcloristi islandesi iniziano la loro opera di raccolta e catalogazione dei miti e delle leggende popolari diffuse sull’isola e con la pubblicazione della prima raccolta di leggende popolari a opera di Jón Árnason, la figura dell’elfo sembra essersi ormai consolidata e aver assunto una sua identità ben precisa, la quale tende a discostarsi in alcuni punti da quella che troviamo in altre nazioni scandinave, come per esempio la Norvegia, dove gli elfi sono spesso caratterizzati da tratti animaleschi, in genere da una lunga coda.
Secondo la quasi totalità delle leggende popolari raccolte, infine, gli elfi in Islanda vivrebbero in società complesse dall’ordinamento simile, se non identico a quello delle società umane (con persino le loro chiese e i loro sacerdoti), ma, a differenza di quella degli islandesi del tempo, segnata dalla povertà e della miseria, la loro sarebbe un’esistenza spensierata e felice condotta all’insegna del divertimento e dello sfarzo.

Gli elfi oggi
L’Islanda é ancora oggi un Paese relativamente poco-conosciuto e vittima di molteplici luoghi comuni che si stanno dimostrando particolarmente difficili da eradicare: spesso questi hanno a che vedere con la tradizione culinaria, con la storia locale e, soprattutto, con il rapporto che gli islandesi intratterrebbero con il loro passato, e trovano una facile diffusione per mezzo dei social media o dei racconti di alcuni visitatori che, consapevolmente o meno, dipingono con le loro parole un’Islanda che poco corrisponde alla realtà dei fatti. Secondo di questi luoghi comuni, ahimè uno dei più diffusi, circa la metà (o più, secondo alcuni) degli Islandesi di oggi crederebbe ancora agli elfi, agli spiriti e, anche se in misura minore, nelle divinità delle religione norrena. Le cause che si celano dietro alla diffusione di questo popolare fraintendimento sono molteplici e difficili da analizzare brevemente, ma spesso hanno a che vedere con quella romanticizzazione di cui l’Islanda è spesso vittima e che altrettanto spesso impedisce di coglierne la vera bellezza immaginando invece al suo posto una terra selvaggia e indomita dove la gente crede ancora agli elfi e costruisce per loro simpatiche casette.
I risultati di alcuni sondaggi condotti in Islanda negli ultimi cinquant’anni permettono di comprendere meglio la complessità del fenomeno. La prima indagine ad essere condotta in merito risale al 1974, e aveva come scopo quello di analizzare il rapporto che gli islandesi avevano con il mistico e il sovrannaturale, elfi compresi: il sondaggio rivelò che, sebbene il numero di persone che sosteneva di credere negli elfi fosse molto basso, altrettanto basso era quello delle persone che negavano categoricamente l’esistenza degli elfi. Il resto dei partecipanti occupava una sorta di zona grigia, non credevano negli elfi, ma non se la sentivano nemmeno di negarne a priori l’esistenza. Un secondo sondaggio venne condotto nel 2006 sotto iniziativa del dipartimento di Scienze Folkloristiche dell’Università d’Islanda: delle 1500 persone contattate però solo 600 risposero rendendo necessario un secondo sondaggio, portato avanti l’anno successivo con modalità leggermente diverse.
In questo caso ai partecipanti venne chiesto di esprimere, in una scala da uno a cinque, quanto probabile ritenessero l’esistenza di una serie di esseri, l’efficacia di alcune pratiche, o il verificarsi di alcuni fenomeni. Venne loro data, inoltre, la possibilità di lasciare un indirizzo o un numero di telefono per poter essere eventualmente ricontattati per raccontare la loro esperienza in materia. I risultati non si discostarono in maniera così netta da quelli del precedente sondaggio. L’indagine rivelò inoltre che le credenze più popolari e diffuse, vale a dire quelle relative al destino, agli spiriti custodi e, in misura minore agli elfi e agli spiriti naturali (in quest’ultimo caso la media tra le risposte fu di 2.8/5) erano quelle le cui radici affondavano nel passato storico e/o nella tradizione islandese e che meno diffuse erano quelle provenienti dall’esterno come UFO, pratiche new-age e reincarnazione.
Sondaggi di questo tipo hanno alcune ovvie limitazioni e non approfondiscono a dovere la natura di queste “credenze”: nella maggior parte dei casi questa credenza è infatti assimilabile ad una mera superstizione e sono veramente pochi gli islandesi che affermano di credere realmente nell’esistenza di elfi. Relativamente più alto é il numero di persone che sostengono di aver assistito a qualche evento per loro inspiegabile e che potrebbe, forse, avere una componente sovrannaturale, ma é evidente che in quest’ultimo caso non si possa parlare di “credenza“. Nel caso specifico del sondaggio del 2007 e dei partecipanti che furono ricontattati per raccontare le loro esperienze personali quello che colpisce particolarmente in queste nuove narrazioni e storie è quanto siano simili per forma e natura alle leggende “tradizionali” raccolte e pubblicate sul finire del 19esimo secolo: senza dubbio queste pubblicazioni hanno contribuito a diffondere e consolidare una determinata immagine degli elfi e del sovrannaturale in generale alla quale fare riferimento al bisogno, magari per spiegare qualcosa, un’esperienza o un fenomeno, apparentemente inspiegabile. (consiglio a tal proposito la lettura dell’articolo di Un Italiano in Islanda, che trovate qui) In sostanza, quella relativa agli elfi non sempre essere più diffusa, in Islanda, di quanto non lo siano altri tipi di superstizione e credenza popolare nel resto del mondo: sebbene non si possa negare che leggende e storie relative agli elfi siano state, e siano tutt’ora parte della tradizione islandese, il loro ruolo all’interno di quest’ultima è stato spesso ingigantito, fino a creare nuove narrazioni che nulla, o poco, hanno a che fare con la realtà e rischiano spesso di rivelarsi dannose.