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I fantasmi nell’immaginario collettivo islandese, dal Diacono di Myrká al caso di Solveig di Miklabær

Sono arrivato in Islanda nel novembre del 2019 e, se escludiamo una breve parentesi “italiana” nel pieno della pandemia, sono (quasi) quattro anni che vivo qui, di cui due abbondanti passati a Reykjavík, dove vivo tutt’ora. Prima del 2019, comunque, erano stati alcuni brevi, ma importanti, viaggi ad accendermi l’amore per questa terra e a spingermi ad accarezzare, più o meno consapevolmente, l’idea di trasferirmici in maniera definitiva.

Le cose si sono svolte piuttosto in fretta: a inizio ottobre, mentre mi trovavo in Norvegia per lavorare ad un progetto fotografico e per raccogliere informazioni sul folklore locale, venni contattato da una famiglia islandese che aveva visto il mio profilo e che aveva bisogno di qualcuno che le desse una mano con la gestione della pagina web della loro attività, e che idealmente fosse in grado di scattare qualche foto ai loro cavalli. Arrivai quindi a Reykjavík a inizio novembre, e dopo due o tre giorni passati ad esplorare la costa sud e l’area della capitale trovai un passaggio verso Nord, verso Akureyri e verso quella che per i successivi tre mesi sarebbe stata la mia casa. Trovare un passaggio non fu cosa difficile: un ragazzo in albergo mi aveva infatti parlato la sera prima di un certo sito internet, credo si chiamasse samferða, o qualcosa del genere, dove gli islandesi cercavano persone con cui condividere i viaggi, chiedendo in cambio un piccolo aiuto per la benzina. Dal sito, o meglio dall’idea dietro al sito, si erano poi creati una serie di gruppi Facebook paralleli, divisi per zone: samferða á Norðurlandi, á suðurlandi, etc.

Proprio su Facebook trovai Sunna, un ex-insegnante in pensione che conosceva relativamente bene la zona in cui sarei dovuto andare io e che, cosa più importante per me, chiedeva solo 2500kr (circa 18 euro) per un viaggio di circa 400km: affrontammo il viaggio insieme, con l’impianto stereo che ripeteva le solite tre canzoni ( di cui una, lo ricordo ancora come se fosse ieri, era Sweet Home Alabama ), e nel mentre scambiammo qualche parola sulla cultura islandese, sulle fattorie e su cosa avrei dovuto aspettarmi o, meglio, non aspettarmi.

Tra le tante cose, mi chiese anche se non avessi paura dei fantasmi o se, invece, io avessi scelto di passare l’inverno a Ytri-Bægisá proprio perché a caccia di fantasmi, ma aggiunse anche che, se così fosse stato, avrei forse dovuto optare per Myrká, perché il fantasma doveva trovarsi lì.

Dovettero passare parecchie settimane prima che io potessi capire a cosa effettivamente si riferisse: il primo mese fu infatti particolarmente duro, io non ero abituato alla vita in fattoria, ai suoi ritmi e, a voler essere onesti, non ero abituato nemmeno all’Islanda. A complicare le cose, fu anche un’importante tormenta (fu, se non sbaglio una delle prime volte, se non la prima volta in assoluto, in cui venne diramata un’allerta rossa in quella regione) che ci lasciò per qualche giorno senza corrente e senza riscaldamento, sostanzialmente sepolti in casa dalla neve. Fortunatamente, le cose tornarono presto alla normalità: la strada venne liberata dalla neve, il riscaldamento riprese a funzionare e la casa ad assomigliare ad una casa. Non solo: quell’esperienza contribuì a rafforzare i miei legami con la famiglia, che sarebbe diventata poi uno dei miei punti di riferimento in Islanda. Proprio da loro appresi che la fattoria in cui mi trovavo era stata teatro di una delle piú famose leggende popolari islandesi, tale da comparire in tutti, o quasi, le pubblicazioni sull’argomento.

La storia ruota intorno ad una fanciulla, Guðrún, la quale abitava proprio in quella fattoria, e al suo promesso sposo di cui non si conosce il nome, ma del quale si sa che ricopriva, allora, il ruolo di diacono nella vicina chiesa di Myrká e viveva nell’omonima fattoria. Poco si sa del giovane, se non che doveva essere un cavaliere provetto e che il suo cavallo, Faxi (lett. criniera) aveva fama di essere un eccellente destriero.

Si dice che pochi giorni prima del Natale egli avesse parlato con Guðrún, alla quale avrebbe promesso sarebbe passato a prenderla di lì a breve e che avrebbero passato le festa a casa di lui, a Myrká, sulla sponda opposta del fiume Hörgá. Sulla via del ritorno, comunque, qualcosa andò storto: durante il giorno la portata del fiume (qualcuno dice si tratti di Hörgá, mentre altri menzionano un suo affluente) era infatti aumentata in maniera considerevole, tanto da far cedere uno dei ponti proprio mentre il giovane lo stava attraversando. Questi avrebbe poi battuto violentemente la testa sul fondo del fiume, dove sarebbe poi annegato. Il giorno dopo un contadino dell’area avrebbe notato Faxi, il cavallo, muoversi in maniera sospetta lungo l’argine del fiume e, seguitolo, avrebbe scoperto il corpo senza vita del giovane: la notizia, ad ogni modo, non sarebbe arrivata alla fanciulla, dal momento che il crollo del ponte aveva interrotto le comunicazioni da una sponda all’altra del fiume.

La sera della vigilia, quindi, Guðrún stava preparandosi, ancora ignora di tutto, quando trovò ad attenderla alla porta una strana figura: riconobbe però Faxi e, una volta infilato un braccio nella manica del cappotto, poi tirato semplicemente sopra le spalle, montò in sella. Durante il tragitto, nessuno dei due dovette proferire parola, e solo quando la luce della luna illuminò la schiena del cavaliere Guðrún si accorse della grossa ferita dietro alla nuca di quest’ultimo, tale da lasciare intravedere le ossa del cranio.

Solo allora, l’uomo avrebbe detto:

“Máninn lýður,
dauðinn ríður;
sérðu ekki hvítan blett
í hnakka mínum,
Garún, Garún?”

“La luna tramonta, la morte cavalca, non vedi forse un punto bianco dietro alla mia testa, Garún, Garún?”

Le parole del fantasma, così come riportate nelle prima edizione di Íslenskar þjóðsögur og æventýri, la prima raccolta di leggende popolari islandesi (1862)

La giovane dovette capire immediatamente cosa stava accadendo: non solo la ferita era tale da non lasciare dubbi circa cosa fosse accaduto al giovane, ma questi non poteva, o non voleva pronunciare correttamente il suo nome, quasi certamente per via della presenza, in esso, della parola Guð- (Dio), la cui pronuncia é vietata alle creature della notte. Una volta arrivata nei pressi di Myrká la giovane notò la presenza, nel piccolo cimitero attiguo alla chiesa, di una fossa appena scavata e verso la quale stava venendo trascinata: colta dal panico, comunque, sarebbe riuscita a divincolarsi giusto in tempo e a cercare aiuto. Solo allora, avrebbe appreso dagli abitanti di Myrká della tragica sorte del suo amato. Nelle notti successive, quello che ormai era chiaro essere il fantasma del giovane, tentò di più volte di portarla con sé nella tomba e solo l’intervento tempestivo degli abitanti di Myrká lo avrebbe allontanato. Venne allora chiamato uno stregone, o un mago, da Skagafjörður, il quale dopo vari tentativi, sarebbe riuscito ad ingannare il fantasma e ad attirarlo in una trappola, imprigionandolo al di sotto di una grossa roccia dove si dice rimanga tutt’ora.

La piccola chiesa adiacente alla fattoria Ytri-Bægisá durante una fredda notte d’inverno

Nel corso dei miei due inverni passati nei pressi della fattoria avrò ripercorso le orme di Guðrún e del diacono qualche centinaio di volte: era una delle mie passeggiate serali preferite, costeggiare il torrente Bægisá, attraversare il primo ponte sul fiume Öxnadalsá per poi infine passeggiare per qualche chilometro ancora lungo il fiume Hörgá. Talvolta, se il tempo e l’inverno me lo consentivano, arrivavo fino a Myrká e al piccolo cimitero nei pressi del quale dovrebbe trovarsi la roccia sotto cui riposerebbe il fantasma del diacono.

Negli anni, il racconto della mia permanenza a Bægisá sarebbe poi diventato un normale argomento di conversazione: nel presentarmi agli sconosciuti, nel raccontare come e quando io fossi arrivato in Islanda e come e perché avessi scelto di dedicarmi allo studio delle leggende e dei racconti popolari, insomma, Myrká e la sua leggenda capitavano piuttosto di frequente. Qualche settimana fa, comunque, stavo lavorando ad un progetto sul folklore islandese: questo progetto prevedeva, tra le varie cose, di passare del tempo in compagnia di alcuni contadini islandesi e di raccogliere testimonianze circa eventi paranormali, surreali o leggendari. Così conobbi Ásta, che vive con il marito in una fattoria a pochi chilometri a nord di Búðardalur, nell’ovest del Paese. Con lei parlammo per qualche ora di elfi, di folklore, troll e di altre creature leggendarie, ma anche della vita in fattoria, dei cavalli, della mia esperienza a Bægisá-Myrká e della storia lí ambientata che, parer suo, era una delle storie di fantasmi più belle di sempre.

La figura nel fantasma nel folklore islandese

Ma quante, e quali sono queste storie? Chi sono i fantasmi e quali sono le loro caratteristiche nelle leggende e nel folklore islandesi?

Queste domande, nella loro semplicità, richiedono una serie di considerazioni importanti: se esseri che a posteriori potremmo definire “fantasmi” fanno infatti la loro comparsa già nella letteratura medievale islandese e in alcune saghe, come la Grettis Saga, é solo nei racconti popolari, nelle leggende, che questa figura assume una sua identità vera e propria, autonoma e particolare. Proprio alle “storie di fantasmi” (draugasögur) è dedicato il secondo capitolo del testo Íslenskar þjóðsögur og æventýri, ovvero la prima raccolta di leggende e racconti popolari islandesi, pubblicata nel 1862 da Jón Árnason. Nella prima edizione del testo egli scrive “draugar eru dauðir menn er trúað hefir verið að væri á reiki eftir að þeir eru dauðir” (i fantasmi sono persone decedute che si crede vaghino dopo la loro morte), presentando due categorie principali di “fantasma”, afturgöngur (individui che si risvegliano dalla morte in condizioni particolari) e uppvaknínga (individui risvegliati dalla morte da un mago o da uno stregone). A queste, se ne aggiungerebbe poi una terza, quella delle fylgjur, talvolta riconducibili all’una o all’altra categoria, ma con una serie di caratteristiche particolari e con ruoli narrativi profondamente differenti.

Incipit del capitolo dedicato alle storie di fantasmi, Íslenskar þjóðsögur og æventýri, 1862 (prima edizione)

Sulla base di altre raccolte e prestando maggiore attenzione alle storie in esse contenute, è possibile ampliare questa prima classificazione e riconoscere quattro categorie di fantasma, talvolta parzialmente sovrapponibili, ma alle quali si associano comportamenti, caratteristiche e ruoli narrativi diversi:

  • afturgöngur: questi sono uomini e donne che dopo la loro morte tornano in vita, sono caratterizzati da una spiccata corporeità e tendono spesso a riprendere possesso del proprio corpo, seppur talvolta pesantemente sfigurato. Spesso, dietro a questo “ritorno” si celerebbero faccende amorose o qualche torto subito e mai riparato. Questa tipologia di fantasma si differenzia in maniera piuttosto evidente da quella a cui siamo abituati: nel saggio “Inngangur að draugafræðum” (Introduzione allo studio dei fantasmi), Ármann Jakobsson – autore e professore universitario islandese – avvicina queste figura più a quella del vampiro che a quella invece dello spettro o del fantasma propriamente detto.
  • útburður, ovvero i fantasmi degli infanti abbandonati o lasciati morire per varie ragioni (spesso perché figli illegittimi, o comunque per cui il riconoscimento sarebbe stato motivo di scandalo ed umiliazione). Essi farebbero ritorno per tormentare le loro madri, colpevoli di averli abbandonati. Alcune ricerche, in particolar modo quelle attribuite all’antropologo Christophe Pons, hanno evidenziato come determinate storie e leggende aventi per oggetto questo particolare tipo di fenomeno sovrannaturale potrebbero in realtà essere il risultato di un processo di elaborazione, più o meno razionale, di ricordi dolorosi e di emozioni tra cui, appunto, il senso di colpa.
  • ættardraugar, o i fantasmi che tendono a perseguitare una determinata famiglia. Spesso la presenza di uno o più di questi fantasmi viene utilizzata per spiegare la suscettibilità di certi nuclei famigliari a fenomeni quali l’alcolismo e altre forme di abuso o, ancora, la cattiva sorte che sembra perseguitare certi individui. Vengono talvolta fatte rientrare in questa categoria anche quelle che vengono chiamate “fylgjur” (da fylgja, lett. seguire), ovvero quegli spiriti, solitamente incorporei, che seguono una determinata persona. Questi possono essere benevoli, agendo come “guardiani” oppure, più di frequente, malevoli.
  • sendingar (chiamati mórar, se di sesso maschile, o, in caso contrario, skottur) sono fantasmi simili ai già citati afturgöngur, con la sola differenza che il loro risveglio sarebbe da attribuire all’azione di una seconda figura, di solito un mago o uno stregone.

Tra queste, quella forse più interessante rimane quella degli afturgöngur a cui appartiene il fantasma del diacono di Myrká. Al suo interno si possono posizionare altre leggende particolarmente celebri, come la storia di Solveig di Miklabær la quale avrebbe commesso suicidio dopo essere stata rifiutata da un tal Reverendo Oddur di Skagafjörður, del quale era perdutamente innamorata. Secondo la leggenda, la giovane avrebbe fatto ritorno come fantasma chiedendo ripetutamente di essere riesumata e sepolta in terreno consacrato e, secondo alcuni, a lei sarebbe attribuibile la prematura scomparsa del giovane reverendo, morto in circostanze misteriose qualche tempo più tardi. Non solo, anche i fantasmi dei bambini possono, in certe circostanze, assumere caratteristiche riconducibili a questa prima categoria. Insomma, avendo a che vedere con leggende popolari, racconti che per anni sono stati tramandati prevalentemente per via orale, é evidente come una classificazione rigorosa “per compartimenti stagni” non sia sempre possibile.

Sebbene con la dovuta cautela, é peró possibile che salvo alcune, notevoli, eccezioni, la figura del fantasma nel folklore islandese presenta una serie di peculiarità non sempre riscontrabili altrove: non solo, a differenza di quanto tradizionalmente associato a queste figure, abbiamo a che vedere con figure il più delle volte corporee e in grado di muoversi, più o meno liberamente, nel mondo materiale conservando intatta una parte della loro identità e della loro memoria. Un discorso a parte meriterebbero le sendingar, le quali tenderebbero nella maggior parte dei casi ad agire come un prolungamento della volontà di chi le ha risvegliate, assumendo talvolta la forma di una nebbia indistinta e/o intangibile: non sorprenderà a tal proposito il fatto che raccolte e pubblicazioni più moderne tendano a raccogliere questo tipo di storie non come “draugasögur“, ovvero storie di fantasmi, ma bensì come “galdrasögur“, storie legate alla magia.

l fantasmi nell’immaginario contemporaneo:

Queste classificazioni comunque appaiono ormai superate e nell’Islanda di oggi – o meglio, nell’immaginario attuale – la figura del fantasma sembra aver ormai assunto una serie di connotazioni nuove, diverse e, per certi versi, più simili a quelle a cui siamo abituati. Nel corso di un sondaggio condotto nel 2007 per iniziativa della facoltà di studi folkloristici dell’Università d’Islanda, solo il 7% degli intervistati ha affermato di ritenere impossibile l’esistenza dei fantasmi. Il 16% del campione intervistato ha invece definito la loro esistenza improbabile, il 41% “possibile” e il 18 e il 13% rispettivamente probabile e certa. Chi invece sosteneva di aver vissuto un qualche tipo di esperienza paranormale – riconducibile in maniera più o meno diretta ai fantasmi – affermava di aver udito rumori e voci attribuibili a persone care da poco scomparse e mai di aver interagito con figure corporee tali da potersi muovere e interagire liberamente con l’ambiente circostante. Insomma, il fantasma contemporaneo sembra essere principalmente imparentato con la figura delle fylgjur e degli spiriti familiari, più che con quelle del Diacono di Myrká e a Solveig da Miklabær, le quali sembrano orami appartenere in via definitiva al passato.

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