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Sull’Islanda e Sulle Isole Føroyar – Storie e tradizioni a confronto

Nel cercare informazioni sulle Føroyar (Isole Faroe) può capitare, talvolta, di imbattersi in un curioso quanto, mi si perdoni il termine, “pericoloso” luogo comune che porta spesso a percepire questo particolare arcipelago come una sorta di “equivalente” di un’altra popolare meta turistica: l’Islanda. Spesso dietro a questo luogo comune si celano una serie di altri pregiudizi e di falsi miti i quali sono talvolta la conseguenza di una conoscenza superficiale della storia, della geografia e della cultura di questi due Paesi. In certi altri casi, ancora, l’arcipelago delle Føroyar che, in certe inquadrature, può ricordare alcune vedute islandesi, tende ad essere presentato come una sorta di alternativa all’Islanda, ormai percepita come inflazionata e, quindi, meno interessante.

Nonostante una serie di apparenti analogie (il paesaggio può apparire in certi casi piuttosto simile, e persino le rispettive lingue, il faroese e l’islandese possono, ad un occhio poco attento, apparire indistinguibili nella loro forma scritta), stiamo infatti parlando di due realtà molto diverse: da un lato si ha infatti l’Islanda, un’isola che si estende per quasi 104.000 chilometri quadrati e che cela al suo interno vasti spazi sconfinati, deserti e altipiani, mentre, dall’altro un arcipelago con un’estensione di appena 1400 chilometri quadrati: un gruppo di 18 isole, disseminate qua e lá di piccoli villaggi, mai troppo distanti gli uni dagli altri, e contornate per buona parte da ripide scogliere. Anche le latitudini in gioco sono piuttosto diverse e se l’Islanda arriva a sfiorare il circolo polare artico, le Isole Føroyar non raggiungono nemmeno il 63esimo parallelo. Mancano infine, nel contesto faroese, due elementi caratteristici della geografia islandese: i ghiacciai e i vulcani.

Deserto, Islanda orientale, settembre 2022

Queste prime differenze non restano peró confinate al solo contesto geografico-paesaggistico. La diversa conformazione del territorio, le condizioni meteorologiche, la presenza o l’assenza di determinati elementi sono tutti fattori che hanno richiesto, o in certi casi imposto, nuovi e diversi modi di vivere e sopravvivere: differenti modi di relazionarsi alla terra, di costruire case, villaggi, di aggregarsi, lavorare e comunicare tanto che alcune tradizioni faroesi (come ad esempio la controversa caccia a determinate specie di balene) non sembrano presentare analoghi nel contesto islandese e, viceversa, molte tradizioni e costumi islandesi non hanno alcun corrispondente faroese.

Ma é sul piano storico e, soprattutto, culturale che possiamo dire qualcosa di piú e mettere in luce una serie di importanti differenze nelle storie di queste due realtà e le conseguenze che queste hanno avuto sugli usi, sui costumi e in generale sullo sviluppo delle identità locali.

In entrambi i casi si tende a far coincidere l’inizio della storia locale con la venuta di alcuni gruppi di eremiti di origine gaelica, seguita poi, piú avanti, da una seconda colonizzazione da parte di nobili norvegesi o di origine norvegese ma provenienti dalle isole britanniche. Se nel caso islandese la presenza di questi eremiti risulta molto difficile, se non impossibile da provare, nelle Føroyar questa versione trova una prima conferma nelle analisi effettuate su di alcuni di sedimenti, le quali confermano la presenza nell’arcipelago di insediamenti umani (sono stati ritrovati, tra le tante cose, tracce di specie vegetali addomesticate dall’uomo e frammenti di ossa di pecora) tali da precedere di molti anni l’arrivo dei primi visitatori di origine scandinava. Una descrizione coerente con quella dell’arcipelago faroese compare anche nel celebre racconto del viaggio del santo irlandese S. Brandano, e negli scritti di un monaco irlandese, tal Dicuil, che nel 825 menziona un gruppo di isole abitato in origine da eremiti irlandesi successivamente scacciati dall’arrivo di pirati scandinavi. Pochissimo sappiamo circa la provenienza di questi primi visitatori scandinavi e l’unica fonte in nostro possesso é la Færeyinga Saga, o Saga dei Faroesi, giunta a noi non nel suo manoscritto originale, ma come serie di frammenti contenuti in differenti manoscritti e in due versioni che differiscono su alcuni piccoli, ma importanti particolari: se entrambe le versioni sono infatti concordi nell’attribuire la prima colonizzazione dell’arcipelago ad un tal Grímr Kamban, la versione contenuta nel Flateyjarbók sembra collocare l’arrivo di Grímr nelle isole intorno all’872 d.C, mentre la versione contenuta nel manoscritto con la Saga di Ólaf Tryggvason pare sostenere che Grímr abbia raggiunto l’arcipelago parecchi anni prima di questa data.

Incipit della Saga dei Faroesi, Flateyjarbók, 1390 ca.

La conversione al cristianesimo interessa entrambe le realtà e avviene pressoché allo stesso momento, nel 999 d.C nelle Føroyar e nell’anno mille in Islanda: se peró nel caso islandese si tratta di un passaggio generalmente pacifico, lo stesso non si può dire dell’arcipelago faroese dove questa é accompagnata da fatti di sangue ed é seguita quasi immediatamente dall’annessione da parte della corona norvegese (1035). Anche l’Islanda passerà sotto il controllo norvegese, ma ben piú tardi (1262) e con modalità differenti. Sia l’Islanda che le Føroyar diverranno parte dell’Unione di Kalman e, al suo scioglimento, parte del Regno di Danimarca: questi avvenimenti avranno conseguenze differenti sullo sviluppo della cultura islandese e faroese che proprio in questa prima fase della loro storia vanno differenziandosi ulteriormente e ad acquisire ciascuna quei propri caratteri autonomi che possiamo individuare ancora oggi.

In Islanda, l’uso della lingua locale non subisce mai particolari limitazioni e le fonti storiche scritte ci permettono di tracciare i vari mutamenti e le varie fasi nell’evoluzione della lingua stessa. Nelle Føroyar invece, le condizioni sono radicalmente diverse: l’utilizzo della lingua faroese, i cui primi tratti individuali sembrano emergere da un documento del 1298, la Seyðabrævið o Lettera delle Pecore, viene pesantemente limitato e cessa sostanzialmente di essere utilizzata nella sua forma scritta, sostituita dall’antico danese. L’ultimo esempio di documento faroese scritto, prima di una lunghissima interruzione, sembra essere una lettera del 1407 contenente alcune trascrizioni di documenti datati tra il 1403 e il 1405. La lingua tornerà gradualmente ad essere utilizzata nella sua forma scritta solo durante il 19esimo secolo, grazie agli sforzi del linguista islandese Jón Sigurðsson che proporrà nel 1854 un nuovo standard per l’ortografia della lingua faroese, e diventerà lingua ufficiale dell’arcipelago solo nel 1948.

Le conseguenze sulla produzione culturale dei due paesi sono facilmente immaginabili: mentre gli islandesi si scoprivano scrittori e affidavano la memoria della loro storia e della loro vita alle saghe, i faroesi dovettero trovare altri modi per preservare al loro identità. É in questo contesto che nasce una delle manifestazioni piú importanti della cultura faroese, quella delle kvæði, ballate composte da centinaia e centinaia di stanze, generalmente intervallate da un coro: gli argomenti sono in genere vari e mostrano spesso legami con la tradizione letteraria scandinava e/o europea. Si tratta in genere di storie di cavalieri (Riddarakvæði), o di eroi (Kappakvæði) dove spesso compare anche l’elemento sovrannaturale o, ancora, di storie ispirate alle vite dei santi o ad episodi della Bibbia. Vi é poi una sola ballata a tema storico, la Margretu kvæði, che tratta di alcuni episodi della vita della principessa Margret di Norvegia. In alcuni casi le kvæði riprendono i temi di alcune saghe, come per esempio la Sjúrðar Kvæði che tratta delle gesta di Sigurðr (Sigfrido, in italiano) narrate nella Saga dei Völsungar. Queste ballate e i loro temi principali ci permettono di comprendere come anche una comunità apparentemente chiusa e isolata come quella faroese avesse conoscenza dei grandi temi della produzione letteraria scandinava, europea, e sopratutto, fosse in grado di assorbirli e declinarli in una sua, personalissima, maniera. Una menzione a parte meritano invece le tættir, simili alle kvæði ma in genere piú brevi e limitate ad episodi della vita locale faroese, con temi generalmente piú leggeri. Entrambe le tipologie di ballata erano spesso, se non sempre, accompagnate da danze tradizionali durante le quali i partecipanti, riuniti in cerchio e tenendosi per mano, battevano coi piedi il ritmo della ballata stessa che, almeno all’inizio era cantata senza altro accompagnamento musicale se non quello dato dai danzatori.

Le ballate sono state tramandate in forma orale di generazione in generazione per poi essere codificate in forma scritta solo durante il 19esimo secolo: esse sono ancora conosciute e praticate da gran parte della popolazione faroese che le considera una parte importante del proprio patrimonio culturale e della propria identità, tanto da venire persino insegnate a scuola. Purtroppo, espressioni simili, se presenti in origine, non si sono preservate nel corso della storia Islandese.

Non bisogna poi commettere l’errore di immaginare queste due realtà come qualcosa storicamente “al di fuori”, o esterno al contesto culturale europeo: tanto gli islandesi quanto i faroesi hanno avuto, nel corso delle loro rispettive storie, la possibilità di attingere da quel repertorio di modelli e tecniche che andavano diffondendosi nel continente, spesso reinterpretandoli e/o adattandoli alle loro particolari esigenze. In questo, il contesto faroese si é forse mostrato meno permeabile ai, comunque presenti, influssi esterni e sembra aver provato a mantenere, anche se talvolta in forma di pura citazione, alcuni elementi della tradizione che non sembrano essersi preservati altrettanto bene in Islanda o in altre aree della Scandinavia: ciò é parzialmente visibile nell’architettura e nell’edilizia faroese che nel corso dei secoli ha perfezionato, senza mai abbandonare del tutto, un repertorio di forme e di soluzioni ancora in uso, di cui l’esempio piú immediato é forse dato dall’uso della torba per la realizzazione delle coperture dei tetti. L’Islanda, invece, mostratasi generalmente piú ricettiva nei confronti dei modelli europei, sembra aver seguito anche in questo caso una strada diversa, assorbendo e impiegando forme differenti e discostandosi in maniera piú marcata dalla tradizione e dal passato. 

Questi, ad ogni modo, sono solo alcuni esempi: le differenze tra le due realtà sono molteplici, troppe per essere affrontate in un solo post. Vi sono poi una serie di altri aspetti da considerare, come la diversa storia politica ed eventuali influenze esterne, ma di questo parleremo un’altra volta. 

Bibliografia e sitografia

Annika Christensen, ‘Kvæði í Føroyskari Samtíð’ Exploring Ballads as Popular Culture and Heritage in Contemporary Faroese Culture, 2020

Song of the Faroes, Traditional Songs and Hymns, Marianne Clausen, Stiðin, 2014

Færeyinga Saga, Jónas Kristjánsson e þórður Ingi Guðjónsson, Hið Ízlenska Fornritafélag, 2006

Færeyjar – út úr þokunni, Þórgrímur Gestsson, Forlagið, 2017

Unitalianoinislanda.com, “I “papar”, i misteriosi eremiti gaelici della più antica storia islandese”, qui

5 commenti su “Sull’Islanda e Sulle Isole Føroyar – Storie e tradizioni a confronto”

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