Quando si pensa al Nord d’Europa, o all’artico in generale, è facile cadere vittima di una serie di pericolosi quanto infondati luoghi comuni che anche nell’era di internet, dei social e di ChatGPT continuano imperterriti a circolare e non sembrano destinati a scomparire nel breve periodo. Non è semplice capire cosa si celi dietro a questi frequenti fraintendimenti, ma in parte credo questi siano da attribuire alla natura della nostra idea di “Nord“, a quello che questa parola rappresenta per noi e alle rappresentazioni che ad essa sono associate nell’immaginario collettivo: per molti, infatti, questo rappresenta ancora qualcosa di lontano, inaccessibile, e che come tale tende talvolta a caricarsi di caratteristiche fantasiose, di iperboli e di altri tratti che raramente trovano una reale corrispondenza nella realtà delle cose.
Una precisazione doverosa riguarda, prima di tutto, l’utilizzo del termine “Nord”: quella che noi chiamiamo normalmente “Nord Europa”, o “Nord” – ovvero quella parte d’Europa che dalla Scandinavia si estende verso le regioni polari, cui si aggiungono le varie realtà insulari come l’Islanda e le Isole Faroe, oltre che la Groenlandia – è in realtà un insieme complesso di mondi, culture e popoli e condizioni, altrettanto complesse, che raramente possono essere paragonate le une alle altre: non solo la vita di un Norvegese di Oslo è diversa rispetto a quella di un Groenlandese, o di un islandese, ma è diversa persino da quella di un norvegese di Tromso, che si trova a vivere a latitudini diverse, in un ambiente diverso e che a livello pratico e culturale dovrà aver adottato una serie di comportamenti almeno in parte differenti. Insomma, parlare di Nord, in generale, non è facile e – spesso – nemmeno possibile. Eppure basta una brevissima ricerca online per imbattersi in una serie di thread, conversazioni (talvolta delle vere e proprie discussioni) dove questa differenza di contesti, culture e di ambienti non viene nemmeno presa in considerazione.
Tra tutti, comunque, il luogo comune più diffuso – e quello che al momento sembra essere il più difficile da eradicare – riguarderebbe la spinosa questione delle ore di luce e dei, veri o presunti, “sei mesi di buio all’anno” che si alternerebbero, sempre secondo questa narrativa, ad altrettanti mesi di luce. Si tratta di un fraintendimento ormai onnipresente nelle varie piattaforme online in cui viene fatta divulgazione su questi temi e, ad essere onesto, non posso certo dirmi sorpreso da questo fatto, specie se penso che la stessa cosa venne insegnata a me e ai miei compagni delle elementari da non una, ma ben due eccentriche insegnanti di geografia. Ma cosa c’è effettivamente di vero?
Beh, come spesso accade, le cose sono un po’ più complicate di quanto non sembrino.
Circolo Polare Artico, Notte Polare e Sole di Mezzanotte:
Per capire di cosa effettivamente si sta parlando, occorre ripassare alcune nozioni base di astronomia: come ben sappiamo, la Terra ha una forma approssimabile a quella di una sfera e compie un giro completo intorno alla sua stella, il Sole, ogni circa 365 giorni (moto di rivoluzione). Allo stesso tempo, la Terra impiega circa 24 ore per compiere un giro completo su se stessa (moto di rotazione). L’asse intorno al quale la Terra compie la sua rotazione è chiamato Asse terrestre, la cui inclinazione oscilla tra i 22°30″ e i 24°30″ con un periodo di circa 41.000 anni, e che al momento è pari a circa 23° e 27´. Questa inclinazione fa si che, a seconda del periodo dell’anno, un emisfero risulti più esposto dell’altro alla luce solare: durante l’inverno boreale, chi si trova nell’emisfero settentrionale (a nord, quindi, dell’equatore), avrà quindi meno ore di luce a disposizione rispetto chi si trova invece nell’emisfero australe, dove la giornate saranno invece più lunghe e viceversa.

Nell’emisfero boreale, il giorno più lungo dell’anno (ovvero quello con più ore di luce) è rappresentato dal solstizio d’estate che cade ogni anno intorno al 21/22 giugno: a partire da questa data, le giornate iniziano poi gradualmente ad accorciarsi, fino ad arrivare alla giornata del 21/22 dicembre, ovvero il solstizio d’inverno, dove le ore di luce sono ridotte al minimo. Da questo punto in poi, le giornate riprenderanno poi gradualmente ad allungarsi: non è certo una caso se molte culture europee usavano celebrare le loro festività più importanti proprio sul finire di dicembre, questo era – ed é tutt’ora – il periodo in cui, simbolicamente e non, la luce trionfa sulle tenebre. La durata del giorno (e le ore di luce a nostra disposizione) dipende tanto dal periodo dell’anno quanto dal luogo in cui ci troviamo, cosa che si può osservare in maniera relativamente facile anche all’interno dei confini nazionali: se infatti a Roma il 21 dicembre si hanno a disposizione circa nove ore e dieci minuti di luce, spostandoci verso Nord, per esempio a Milano lo stesso giorno il giorno dura “solo” otto ore e 46 minuti, ovvero quasi mezz’ora in meno. Più ci si avvicina al polo, più questa differenza diventa avvertibile: a Reykjavík, in Islanda, quello stesso giorno infatti si avranno appena quattro ore di luce e ad Akureyri – sempre in Islanda – poco più di tre.
E sa da Akureyri decidessimo di proseguire ancora verso Nord? In tal caso il numero di ore di luce a nostra disposizione andrebbe gradualmente a scendere, e una volta superati i 66°33´ di latitudine Nord, ovvero il circolo polare artico, avremmo a che fare con quella che viene chiamata Notte Polare: in altre parole, non vedremmo sorgere il sole, che resterebbe al di sotto dell’orizzonte. La durata di questo periodo di notte polare varia a seconda della nostra posizione: in prossimità del Circolo Polare Artico, la notte polare durerebbe poco meno di 48 ore, ma se da lì in poi decidessimo di proseguire il nostro viaggio verso Nord, la sua durata andrebbe ad aumentare progressivamente, fino ad arrivare al Polo Nord Geografico, dove effettivamente faremmo esperienza di quei famosi, e tanto spesso chiamati in causa a sproposito, sei mesi di buio. Se decidessimo invece di fermarci nei pressi di Longyearbyen, nelle Isole Svalbard, la notte polare per noi durerebbe solo dal 27 ottobre al 15 febbraio. La scelta di quest’ultimo luogo non è casuale: si tratta infatti dell’insediamento permanente più a Nord al Mondo ed risulta difficile immaginare che un viaggiatore “normale” possa trovarsi a passare periodi ti tempo prolungati a latitudini superiori. Noteremmo inoltre che, spostandoci progressivamente verso Nord, avremmo a che fare con notti polari sempre diverse, non solo via via più lunghe, ma anche più buie: se a latitudini pari (o di poco superiori) a quelle del circolo polare artico una certa quantità di luce potrebbe comunque filtrare da sotto l’orizzonte (avremmo quindi a che vedere con quello che viene detto crepuscolo polare ), spostandoci verso nord saremmo costretti a rinunciare anche a quest’ultima luce residua e ad avventurarci in quella che viene chiamata notte polare civile, prima, nautica e astronomica poi.

Solo chi si trova a viaggiare a latitudini circumpolari, quindi, fa esperienza della Notte Polare, la cui durata è sostanzialmente variabile: chi viaggia in Islanda e nelle Isole Faroe, pur dovendo fare i conti con giornate generalmente più brevi, non avrà mai a che fare con la notte polare, e anche chi si trova a viaggiare in Norvegia, Svezia e Finlandia – a meno che non si spinga verso Nord – difficilmente ne farà esperienza. A Oslo, ad esempio, le ore di luce al 21 dicembre sono sei, ma già a fine gennaio se ne contano otto, solo due in meno di quelle che nello stesso periodo si registrano, per esempio, a Milano. Anche a Reykjavík, dove il 21 dicembre le ore di luce – come già detto – sono solo quattro, a fine febbraio si avranno le stesse ora di luce che si hanno, nello stesso periodo a Milano, mentre da marzo ai primi di ottobre sarà Reykjavik ad avere la meglio, con giornate via via più lunghe. Nella maggior parte dei casi poi, anche a latitudini polari (generalmente fino ai 72°N/S), pur restando il sole al di sotto dell’orizzonte per l’intera giornata, una certa quantità di luce solare sarebbe comunque in grado di rischiarare l’orizzonte durante il giorno e solo al di sopra dei 78° di latitudine nord, o sud a seconda dell’emisfero, avremmo una condizione di buio totale prolungato dalla durata variabile a seconda della nostra posizione effettiva.

E d’estate?
Il fenomeno opposto a quello della Notte Polare è quello che invece viene chiamato Sole di Mezzanotte: similmente alla notte polare, questo interessa prevalentemente tutti i territori che si trovano oltre ai due circoli polari, ma può essere osservato anche a latitudini inferiori, fino a circa 65°44´. Qui durante il periodo estivo il sole resta al di sopra dell’orizzonte per un periodo variabile compreso tra le 48 ore (nei pressi del circolo polare) e i sei mesi (in concomitanza dei poli geografici). Anche in questo caso, la portata del fenomeno varia di molto man mano che ci si avvicina ai poli, ma l’allungamento delle giornate non riguarda solo le aree polari e sub-polari. Se a Roma il 21 giugno si hanno 15 ore 16 minuti di luce, chi vive a Milano avrà a disposizione circa 30 minuti in più di luce, mentre a Reykjavík, che ricordiamo essere ben al di sotto del circolo polare artico, le ore di luce saranno poco meno di 20 – anche se di fatto, non farà mai effettivamente buio nel periodo tra i primi di maggio e la seconda settimana di agosto.

I dati e gli esempi qui riportati dovrebbero, se non altro, aiutare a fare un po’ di chiarezza: se in linea generale è vero che in Europa settentrionale, in inverno, le giornate tendono ad essere piuttosto brevi, la reale portata del fenomeno è spesso esagerata e, in certi casi, persino estremizzata. Non di rado, a questa narrativa, costellata di luoghi comuni se ne aggiungono altri, i quali riguardano spesso le persone che abitano queste regioni e gli improbabili sistemi cui queste farebbero ricorso per sopportare le lunghe notti estive, ma si tratta perlopiù di leggende metropolitane, di invenzioni narrative o di pericolose estrapolazioni fatte a partire dall’esperienza del singolo e che poco ci dicono della realtà fattuale delle cose e su come effettivamente le persone vivano questo fenomeno nelle sue innumerevoli sfaccettature e sfumature. In ormai otto anni passati a girovagare per l’artico, tre anni passati in Islanda e un interno inverno – o quasi – passato alle Svalbard, una delle poche cose che ho imparato è che quando si tratta di luoghi come questi non c’è niente di più pericoloso delle generalizzazioni: quello che dalla Penisola Scandinava si estende verso Nord, fino a toccare l’artico e le regioni polari è infatti, e qui mi ripeto, un mondo eccezionalmente complesso, un delicato insieme di culture, paesaggi e storie che solo in alcuni casi specifici possono essere raggruppate e studiate insieme, e che meritano, nella quasi totalità dei casi, ciascuna una sua attenzione particolare affinché non si cada nel banale, nel cliché, nel luogo comune – nell’errore.
Nell’articolo Enrico, bravo!
Grazie, B