Credo bastino poche ore, giorni talvolta, per rendersi conto di quanto l’Islanda sia un Paese imprevedibile: le previsioni meteo, specie quelle a lungo termine, sono spesso inaffidabili, la neve può arrivare – in certi casi – anche in piena estate e l’approcciarsi alla natura richiede una serie di premure e di attenzioni, altrove non sempre necessarie.
Poi, quasi dimenticavo, ci sono i vulcani: molte persone hanno sentito parlare per la prima volta dell’Islanda nel 2010, quando l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull causò l’interruzione di buona parte del traffico aereo tra il continente europeo e quello nord-americano. Quasi ogni albergo lungo la costa sud conserva, nella hall, una qualche foto di quella spettacolare eruzione. Eyjafjallajökull, ad ogni modo, non è l’unico vulcano a cui prestare attenzione: in Islanda si contano infatti 32 sistemi vulcanici attivi e circa un centinaio di sistemi dormienti e/o ormai inattivi. Dal punto di vista dei fenomeni eruttivi, in Islanda si verifica un’eruzione vulcanica in media ogni 5-10 anni. Faccio una breve ricerca online:
Eruzioni in Islanda, ultimi 25 anni:
- Febbraio 2000, Vulcano Hekla
- Novembre 2004, Grímsvötn
- Marzo 2010, Eyjafjallajökull
- Maggio 2011, Grímsvötn
- Agosto 2014, Holuhraun
- Marzo 2021 – Fagradasfjall
- Agosto 2022, Fagradasfjall (II), Meradalir
- Luglio 2023, Litri-Hrútur
Una simile abbondanza di fenomeni eruttivi, distribuiti in maniera più o meno uniforme nel corso della storia Islandese, ha lasciato inevitabilmente la sua impronta non solo sul folklore e sulla letteratura islandesi, ma anche nel modo in cui le persone, in Islanda, si comportano, si muovono e interagiscono con la natura e con i vulcani in generale. In altre parole, i vulcani hanno avuto un certo impatto sulla cultura islandese. A livello letterario un esempio particolarmente significativo lo si trova negli scritti del Reverendo Jón Steingrímsson. A proposito dell’eruzione del Laki, nel 1783, scrive:
«In quest’ultima settimana, e nelle due precedenti, piovve dal cielo più veleno di quanto le parole possano descrivere: cenere, frammenti di lava, pioggia contaminata da acido solforico e sali minerali, o mescolata a sabbia. Le narici e le zampe degli animali al pascolo o erranti sull’erba divennero di colore giallo brillante. Tutta l’acqua delle sorgenti divenne tiepida e colorata di un blu tenue. Tutte le piante bruciarono, si appassirono o si fecero grigie, una dopo l’altra, man mano che il fuoco aumentava e si avvicinava agli insediamenti”
L’eruzione in questione fu una delle più importanti della storia d’Islanda: tra l’eruzione vera e propria e le carestia da essa scatenata si stima che circa un quarto della popolazione islandese di allora perse la vita. Non solo, più della metà degli animali d’allevamento presenti sull’isola morirono a causa dell’eruzione e delle tossine rilasciate.
Alcuni dei vulcani islandesi compaiono anche in narrative di carattere folkloristico e sono associati a una serie di leggende e credenze popolari: nel racconto del viaggio di San Brandano, (1120) un monaco di origine irlandese sostiene che Giuda, a differenza degli altri dannati sia imprigionato e punito all’interno del vulcano islandese Hekla, il quale, secondo testi medievali più tardi, sarebbe una delle principali vie d’accesso agli inferi. Una delle frequenti eruzioni di questo vulcano compare anche in quella che molti ritengono essere la prima mappa d’Islanda, forse realizzata dal vescovo Guðbrandur Þorláksson nella seconda metà del 16esimo secolo.

Sostenere però che i vulcani abbiano una certa rilevanza all’interno della cultura islandese non equivale al solo prendere atto della loro importanza nelle opere letterarie o nelle leggende popolari. Quello di cultura infatti è un concetto eccezionalmente ampio, che abbraccia tanto la produzione artistica e quelle manifestazioni che definiamo appunto “culturali”, quanto gli usi, i costumi, le tradizioni, le convenzioni sociali e, in generale, quei comportamenti che ciascuno di noi eredita dalla società e dall’ambiente in cui vive.
Tre anni, tre eruzioni vulcaniche
Nelle ultime settimane, dopo l’inizio dei primi terremoti che hanno preannunciato l’arrivo dell’attuale eruzione, ho avuto modo di toccare con mano questa cosa: e di notare che tanto nel dispiegamento di geologi, specialisti e delle squadre di protezione civile, tanto quanto nella quotidianità, nei discorsi della “gente comune”, l’eruzione vulcanica non era concepita come qualcosa di eccezionale, di insolito. Certo, si tratta – e così viene percepito – di un evento tanto straordinario quanto, invece, ordinario, parte della natura di questo Paese.
Io, a poco a poco, sto assimilando questo modo di vedere le cose. La prima volta che vidi un’eruzione vulcanica dal vivo, piansi ed ebbi l’impressione di trovarmi di fronte ad uno spettacolo che non avrei mai piú rivisto. Ovviamente, mi sbagliavo, ma ne valse comunque assolutamente la pena. Allora vivevo nel nord del Paese, a circa 400km dal sito dell’eruzione e mi ci vollero nove ore di bus per arrivare a Reykjavík, un’altra per arrivare a Grindavík e quattro ore per arrivare al vulcano vero e proprio. Nevicava, e lassù c’eravamo solo io e Brian, un cacciatore di tornado venuto dagli Stati Uniti per fare qualche ripresa per una rete televisiva. Due persone, la neve e un vulcano. Dicono che ci sono cose che non si possono dimenticare e che tra queste ci sia proprio la prima eruzione e le persone presenti: lo posso confermare.

L’anno successivo il copione si sarebbe ripetuto pressoché invariato: un paio di settimane di terremoti, poi l’eruzione, comparabile per dimensione e per aspetto a quella dell’anno precedente e, salvo sorprese, a quella attualmente in corso. In questo caso vivevo già a Reykjavík, a meno di un’ora di distanza dal sito dell’eruzione: ci tornai più o meno una decina di volte e, sopratutto, ebbi l’occasione, nei giorni che precedettero l’eruzione vera e propria, di sentire sulla mia pelle i vari terremoti e di poter apprezzare appieno la potenza e la concretezza di quello che stava accadendo.



Nelle scorse settimane, comunque, ho avuto modo di vivere un po’ anche dell’ansia pre-eruzione, quella vera. Per qualche giorno Reykjanes non é stato il solo posto in cui la terra si era messa a tremare, e qualche notiziario andava suggerendo l’idea che ben tre vulcani diversi potessero eruttare. Ora la situazione pare essersi calmata, ma non credo dimenticherò tanto facilmente quella volta in cui parlandone con alcuni amici questi mi risposero:
“eh, hai voluto vivere in Islanda?…”




sempre emozionante leggerti grazie👋