La Groenlandia é uno di quei posti nel mondo che non assomiglia a nessun altra cosa: quella di tentare di descrivere l’immensità e il candore delle distese innevate che separano i piccoli abitati, o il senso di pace e di vulnerabilità che vi si respira e vi si vive é una sfida persa in partenza, non esistono altri luoghi, altre categorie di pensiero alle quali la nostra mente possa appellarsi per comprendere di cosa stiamo parlando, la Groenlandia non la si capisce fino a che non la si vede, e forse nemmeno a quel punto.
Per arrivare a Ilulissat dall’Islanda si devono sorvolare migliaia e migliaia di chilometri di ghiaccio e neve, distese sconfinate dove é ragionevole pensare che nessun essere umano abbia mai messo piede: per me la meraviglia groenlandese inizia lì e va poi crescendo, di miglio in miglio fino al momento dell’atterraggio, fino alla scoperta della vita oltre il candore.
La dimensione della Groenlandia per me é il bianco e credo che nessuno abbia mai saputo spiegare il bianco meglio di Kandinskij, che nel suo testo Lo Spirituale nell’arte scrive:
Il bianco è quasi il simbolo di un mondo in cui tutti i colori,
come principi e sostanze fisiche, sono scomparsi.
Sentiamo solo un immenso silenzio che, tradotto in immagine fisica,
ci appare come un muro freddo, invalicabile, indistruttibile, infinito. Per questo il bianco ci colpisce, come un grande silenzio che ci sembra assoluto. Interiormente lo sentiamo come un non suono, molto simile alle pause musicali che interrompono, brevemente, lo sviluppo di una frase o di un tema, senza concluderlo definitivamente. E’ un silenzio che non è morto ma ricco di potenzialità.Il bianco è il suono di un silenzio che, improvvisamente, riusciamo a comprendere.
Forse la terra risuonava così nel tempo bianco dell’Era Glaciale

Quello di fotografare la Groenlandia non é un compito facile, perché la macchina fotografica a differenza dell’occhio non coglie il bianco, non coglie lo spazio sconfinato e, se lo fa, non può che restituirne un’immagine limitata, finta, e allora bisogna cambiare metodo, focus: bisogna passare dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, al dettaglio: solo questi permettono, per contrasto, di fotografare la natura dei grandi e silenti spazi groenlandesi.
In questa serie ho usato il bianco e nero per due motivi: il primo é una citazione a uno dei miei fotografi preferiti, l’Islandese Ragnar Axelsson, attraverso il quale ho scoperto la Groenlandia per la prima volta, il secondo é piú personale, intimo, ma ha che vedere tanto con il mio gusto personale. Non posso nascondere di nutrire un certo affetto per questa serie, se non altro per il fatto che molte di queste foto sono state scattate con la mia prima, primissima, macchina fotografica, alla quale sono ancora molto legato nonostante le sue evidenti limitazioni e l’importante quantità di detriti, polvere e sabbia che nel corso di sei anni di intenso utilizzo in ogni tipo di ambiente, si é inevitabilmente accumulata al suo interno.











Ciao! Molto coinvolgente e bel lavoro. Sarei stata curiosa di un racconto delle sensazioni e dell’ emozioni del fotografo al momento dello scatto, cosa provava l’artista nell’atto dello scattare e contemplare i particolari.
Quanta meraviglia!
Meraviglia! Guardo e vedo immensità e sento silenzio e la vita che si mostra timida, discreta, come se non volesse turbare questo immenso. Bellissimi scatti e profonda emozione!
Grazie mille!
Probabilmente arriverà anche quello!
Fantastiche foto, commenti coinvokgenti! Grazie!
Tanti anni fa usavo anche io il bianco e nero, ed avevamo, mio marito ed io, imparato a sviluppare i negativi da soli, e poi le foto. Era un procedimento che ti faceva sentire ancora più intensamente la gioia dello scatto fotografico e durante lo sviluppo veder emergere dal foglio bianco i contorni delle immagini è un’emozione che non si dimentica più. Bravo.