Diario, 21 Dicembre 2021 – [Da qualche parte nei pressi di Vik]
“Quella che cade è una pioggia gelida, leggera e pungente e che minaccia, da un momento all’altro, di trasformarsi in neve. Reynifjara, questo il nome della spiaggia, è, come previsto, deserta e in lontananza non si sente altro che il suono delle onde, brimhljóð in islandese, che vanno infrangendosi sulle alte scogliere. Sono da poco passate le tre del pomeriggio, l’ultima onda ha gettato sulla spiaggia un banco di piccoli pesci argentati che ora giacciono immobili. Io siedo in un angolo relativamente protetto dalla pioggia, ma non dal vento. Vik, la mia stanza e una doccia calda sono a qualche chilometro da qui, ma l’attesa non pesa: mi sdraio sulla sabbia bagnata che pare, per un istante, volersi ritrarre. Cede sotto il peso del mio corpo che, stanco, sprofonda. L’acqua arriva, in qualche occasione, a sfiorare la punta degli scarponi. […] Pochi minuti dopo le quattro, quando il sole si è ormai ritratto al di sotto dell’orizzonte, riprende a nevicare.
Passano i minuti, forse le ore.
Resto lì, sdraiato, semi-coperto dalla neve; la mia sagoma scura sulla sabbia è l’ultima linea di una, fragile, resistenza. Mi lascio la spiaggia alle spalle, la strada verso casa è ancora lunga e la sabbia, bagnata, rallenta i miei passi.
Reynisfjara – la spiaggia nera – è ora tinta di bianco.”



